Stamattina, dovendo fare del lavoro diagnostico, ho tentato di osservare un bambino fuori della stanza, accovacciato per terra in un angolo fra il muro e la fotocopiatrice. Matteo, il bambino in questione, rifiutava assolutamente di rimanere dentro la stanza, seduto su una sedia, a un tavolino dove disegnare sui fogli che gli avevo offerto.
L’episodio mi ha fatto pensare a Matilde, la donna “out of the frame”.
In moltissimi anni di conoscenza, Matilde non ha mai cessato di fraintendere il titolo di un libro di Marion Milner, che lei chiama “NELLE mani del dio vivente” (1).
La questione è particolarmente significativa, perché tutta la vicenda di Matilde si snoda attorno all’angoscia di scegliere fra un’impossibile autonomia e un’altrettanto impraticabile dipendenza.
L’autonomia è impossibile proprio a causa della sua radicalità; e la dipendenza è tenuta in presagio di morte.
Matilde non può sentirsi fra le mani di nessuno, perché in tal caso questi diventa un dio arcaico, onnipotente e spietato; e non può smettere di cercare senza sosta chi le dia ciò di cui ha un assoluto bisogno.
Per questo, amare Matilde significa tenerla fuori del proprio cuore: non proprio lontano, ma nelle vicinanze in un’eterna sosta sul limitare della casa.
E’ forse a causa del fatto che essere riuscita ad accettare alcuni elementi di un setting (stare dentro il tempo e la stanza stabiliti, anziché fuori, sul pianerottolo e in tempi limitrofi) la induce a sottrarsi al contenitore che di più teme e desidera, che è la mente e la memoria del terapeuta; il quale dev’essere mantenuto all’oscuro della maggior parte dei suoi pensieri.
Tutte le relazioni di Matilde vengono private del connotato della dipendenza, immediatamente sostituito da una dimensione rigorosamente paritaria: i suoi amori diventano ben presto fratelli che non potranno mai più essere lasciati, perché la separazione, al pari dell’appartenenza, è assolutamente inaccettabile. Per questo Matilde è una Biancaneve che sogna di creare realmente una casa dove vivere con tutti i nani.
Intelligentissima, Matilde appartiene a una dinastia universitaria; e ciò ha qualche relazione con il fatto che è riuscita a raggiungere risultati importanti in almeno due professioni intellettuali, evitando scrupolosamente di prendere una maturità di livello alto e una laurea che le consentisse di svolgere la professione cui si sentiva destinata.
Entrambe le cose l’avrebbero fatta sentire appartenente a qualcuno (al padre, probabilmente), e ciò le sarebbe risultato insopportabile. Meglio, molto meglio raggiungere risultati pressoché analoghi, camminando fuori del sentiero stabilito.
Per molti anni, io ho tenuto aperta la porta di casa aspettando che entrasse, e soltanto tardi, molto tardi, ho capito che la terapia di Matilde potrebbe svolgersi soltanto in un altrove, che stiamo ancora cercando.
(1) Milner M., Le mani del dio vivente, Roma: Armando, 2000.
(1) Milner M., Le mani del dio vivente, Roma: Armando, 2000.