Ci si può spostare in uno spazio privo di punti di riferimento? Teoricamente no, ma per fortuna i punti di riferimento esistono sempre: il problema è come individuarli. Per questo sono stati creati strumenti come l’astrolabio, il radar, il GPS, il navigatore satellitare. Altrimenti, la navigazione in mare, una volta esclusa la vista delle coste o delle stelle, sarebbe impossibile. Anche orientarsi nella mente è come viaggiare e c’è bisogno di punti di riferimento: si parte dal porto (Io), e ci si dirige verso mete più o meno lontane (l’Altro). Si può esplorare il retroterra del porto, la città, la pianura o le montagne, o il fondo del mare, o andare in cerca di isole lontane. La relazione è viaggio e incessante scoperta.
Fu nel 1912 che Freud, (Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico), in un certo senso, inventò una specie di radar, che chiamò "attenzione uniformemente sospesa", o fluttuante. Paradossalmente, si trattava di un radar che non voleva sapere nulla di preciso, anzi, quasi sordo e cieco, perché consapevole dell’effetto di abbaglio che il riflesso ha sul mare. In “Ombre Bianche”, film del 1960 tratto dal best-seller “Paese dalle Ombre Lunghe” di Hans Ruesch, l’eschimese Inuk (Antony Quinn) indossava spessi occhiali di legno attraversati da due sottilissime fessure, praticamente ciechi, per non essere abbagliato dal riverbero della banchisa polare.
Ciò che Freud, al pari di Inuk, voleva evitare, era l’accecamento che deriva dal troppo vedere, dall’essere invasi da un particolare, che come il pendolino dell’ipnotista, cattura la nostra attenzione escludendo dal nostro campo visivo tutto ciò che succede attorno. Forte della cecità edipica, Freud era alla ricerca di uno strumento che permettesse di vedere ciò che, con movimenti di anguilla, scivola alla presa dello sguardo. E per questo inventò quella specie di radar.
Ma ci sono territori nei quali neppure l’attenzione fluttuante è sufficiente: deserti desolati nei quali ogni granello di sabbia è uguale a tutti gli altri, e dove il vuoto si estende lungo distanze apparentemente sterminate. E’ allora che un altro suggerimento di Freud può tornare utile: laddove non c’è nulla, si può immaginare ciò che può esserci stato, come fanno gli archeologi, quando, davanti a una buco nel terreno, immaginano la colonna che la occupava. Da quel grande archeologo che era, Freud, guardava al passato. Già: ma se il deserto nega persino qualsiasi segno riconoscibile, che fare? Neanche una pietra scheggiata, neanche un’impronta, soltanto sabbia. Lo so bene che nulla è senza passato, e che ogni granello di sabbia è stato prima una montagna, ma il tempo necessario per percorrere una distanza così lunga è molto maggiore della mia speranza di vita, e il progetto di esplorare un immenso deserto da cima a fondo per stabilirne la finitezza è vano, se non ho altro mezzo che le mie gambe per camminare, e una razione sempre troppo piccola d'acqua e di cibo.
Che cosa può fare il piccolo Freud, quando è costretto a viaggiare nell’infinito? Come potrà il suo ingegno condurlo a destinazione?
Ecco: la possibilità di confrontare l’estensione del deserto con il tempo che mi resta da vivere è già un punto di riferimento; ma non basta ancora. Se Freud aveva l’occhio fisso sul passato, perché non dovremmo poter immaginare un futuro, magari anteriore, magari da guardare retrospettivamente? Perché non realtà parallele, altre, pensieri mai nati, mai pensati prima? Realtà esistenti in un mondo potenziale, con tutto ciò che a Dio non è venuto in mente di creare? Bion ci ha insegnato a farlo. Gli antichi avrebbero considerato ciò un sacrilegio al pari delle violazioni di Colombo o delle bestemmie di Copernico, ma non avevano alcuna idea delle dimensioni dell'Universo.
Così con Lucia, la ragazza schizofrenica, sono continuamente costretto a confrontare la mia speranza di vita con la sua. Ho sessantaquattro anni: quanto mi resta? Non è importante saperlo; anzi, è meglio non saperlo. Ma di certo, la vita, con un futuro più corto, non è più la stessa, rispetto a quella che appariva quando l’autostrada si estendeva a perdita d’occhio. Lucia, invece, misura il proprio tempo secondo un orologio non ancora inventato. A 19 anni, ha interrotto la scuola da qualche anno, e medita di riprenderla fra un po’, dopo un numero imprecisato di anni sabbatici. Più in là, potrà fidanzarsi, sposarsi, avere figli come tutti. Anch’io, durante la mia giovinezza, avevo provato ad annullare il tempo: ma l’angoscia mi divorava, assieme alla realtà che mi svegliava di notte per ricordarmi gli esami universitari non ancora sostenuti. Lucia invece non prova alcuna ansia, perché ha uno strumento infallibile per far defluire altrove la Realtà. A questo serve il delirio.
In lei, gli ormoni che la bruciano diventano immaginari aggressori erotomani, e la sessualità è consumata fra le braccia di fantasmi che abitano una galassia inaccessibile. I tuoi genitori, le dico con patetica e disperata impotenza, non accettano il tuo fidanzato (un rapper coreano che mi dicono molto famoso). Hai ragione a lamentarti, ma devi riconoscere che non puoi nemmeno invitarlo a cenare con loro. Parole al vento: la Realtà che io disperatamente richiamo, è irrimediabilmente esterna a noi.
Ma quella del rapper è una figura poco importante, utile soltanto a deviare la prepotente attualità del corpo, come se fosse un corso d’acqua gonfio e minaccioso. Il corpo, il sesso non aspettano: sono soggetti al tempo biologico e se ne fregano della dilatazione che ad esso Lucia vuole attribuire: minuti come anni, mesi come secoli. Per riprendere la scuola non meno di sei-settecento anni, per sposarsi e fare figli come tutti, l’equivalente della durata di un viaggio per la costellazione del Cigno, destinazione Deneb (alfa Cygni), distanza di sola andata 1800 anni luce. E io ho soltanto tre anni solari per la pensione.
Fu nel 1912 che Freud, (Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico), in un certo senso, inventò una specie di radar, che chiamò "attenzione uniformemente sospesa", o fluttuante. Paradossalmente, si trattava di un radar che non voleva sapere nulla di preciso, anzi, quasi sordo e cieco, perché consapevole dell’effetto di abbaglio che il riflesso ha sul mare. In “Ombre Bianche”, film del 1960 tratto dal best-seller “Paese dalle Ombre Lunghe” di Hans Ruesch, l’eschimese Inuk (Antony Quinn) indossava spessi occhiali di legno attraversati da due sottilissime fessure, praticamente ciechi, per non essere abbagliato dal riverbero della banchisa polare.
Ciò che Freud, al pari di Inuk, voleva evitare, era l’accecamento che deriva dal troppo vedere, dall’essere invasi da un particolare, che come il pendolino dell’ipnotista, cattura la nostra attenzione escludendo dal nostro campo visivo tutto ciò che succede attorno. Forte della cecità edipica, Freud era alla ricerca di uno strumento che permettesse di vedere ciò che, con movimenti di anguilla, scivola alla presa dello sguardo. E per questo inventò quella specie di radar.
Ma ci sono territori nei quali neppure l’attenzione fluttuante è sufficiente: deserti desolati nei quali ogni granello di sabbia è uguale a tutti gli altri, e dove il vuoto si estende lungo distanze apparentemente sterminate. E’ allora che un altro suggerimento di Freud può tornare utile: laddove non c’è nulla, si può immaginare ciò che può esserci stato, come fanno gli archeologi, quando, davanti a una buco nel terreno, immaginano la colonna che la occupava. Da quel grande archeologo che era, Freud, guardava al passato. Già: ma se il deserto nega persino qualsiasi segno riconoscibile, che fare? Neanche una pietra scheggiata, neanche un’impronta, soltanto sabbia. Lo so bene che nulla è senza passato, e che ogni granello di sabbia è stato prima una montagna, ma il tempo necessario per percorrere una distanza così lunga è molto maggiore della mia speranza di vita, e il progetto di esplorare un immenso deserto da cima a fondo per stabilirne la finitezza è vano, se non ho altro mezzo che le mie gambe per camminare, e una razione sempre troppo piccola d'acqua e di cibo.
Che cosa può fare il piccolo Freud, quando è costretto a viaggiare nell’infinito? Come potrà il suo ingegno condurlo a destinazione?
Ecco: la possibilità di confrontare l’estensione del deserto con il tempo che mi resta da vivere è già un punto di riferimento; ma non basta ancora. Se Freud aveva l’occhio fisso sul passato, perché non dovremmo poter immaginare un futuro, magari anteriore, magari da guardare retrospettivamente? Perché non realtà parallele, altre, pensieri mai nati, mai pensati prima? Realtà esistenti in un mondo potenziale, con tutto ciò che a Dio non è venuto in mente di creare? Bion ci ha insegnato a farlo. Gli antichi avrebbero considerato ciò un sacrilegio al pari delle violazioni di Colombo o delle bestemmie di Copernico, ma non avevano alcuna idea delle dimensioni dell'Universo.
Così con Lucia, la ragazza schizofrenica, sono continuamente costretto a confrontare la mia speranza di vita con la sua. Ho sessantaquattro anni: quanto mi resta? Non è importante saperlo; anzi, è meglio non saperlo. Ma di certo, la vita, con un futuro più corto, non è più la stessa, rispetto a quella che appariva quando l’autostrada si estendeva a perdita d’occhio. Lucia, invece, misura il proprio tempo secondo un orologio non ancora inventato. A 19 anni, ha interrotto la scuola da qualche anno, e medita di riprenderla fra un po’, dopo un numero imprecisato di anni sabbatici. Più in là, potrà fidanzarsi, sposarsi, avere figli come tutti. Anch’io, durante la mia giovinezza, avevo provato ad annullare il tempo: ma l’angoscia mi divorava, assieme alla realtà che mi svegliava di notte per ricordarmi gli esami universitari non ancora sostenuti. Lucia invece non prova alcuna ansia, perché ha uno strumento infallibile per far defluire altrove la Realtà. A questo serve il delirio.
In lei, gli ormoni che la bruciano diventano immaginari aggressori erotomani, e la sessualità è consumata fra le braccia di fantasmi che abitano una galassia inaccessibile. I tuoi genitori, le dico con patetica e disperata impotenza, non accettano il tuo fidanzato (un rapper coreano che mi dicono molto famoso). Hai ragione a lamentarti, ma devi riconoscere che non puoi nemmeno invitarlo a cenare con loro. Parole al vento: la Realtà che io disperatamente richiamo, è irrimediabilmente esterna a noi.
Ma quella del rapper è una figura poco importante, utile soltanto a deviare la prepotente attualità del corpo, come se fosse un corso d’acqua gonfio e minaccioso. Il corpo, il sesso non aspettano: sono soggetti al tempo biologico e se ne fregano della dilatazione che ad esso Lucia vuole attribuire: minuti come anni, mesi come secoli. Per riprendere la scuola non meno di sei-settecento anni, per sposarsi e fare figli come tutti, l’equivalente della durata di un viaggio per la costellazione del Cigno, destinazione Deneb (alfa Cygni), distanza di sola andata 1800 anni luce. E io ho soltanto tre anni solari per la pensione.
SENTI
RispondiEliminaLE GOCCE DI PIOGGIA
SENTI
CADONO SULLA GRONDAIA
SENTI
RUMORE INCONFONDIBILE
RITMATO
SENTI
SUONANO IL PASSARE DEL TEMPO
SENTI
GIOIA E DOLORE
SI MESCOLANO
POSSO COMINCIARE A FARE IL
CONTO ALLA ROVESCIA.
PIANGO
MI RIBELLO ALL’IDEA DI MORIRE
NON VOGLIO MORIRE…..
SENTI
LE GOGGE DI PIOGGIA SUONANO LA VITA.
EPPURE L'ARIA SA PROFUMO DI PRIMAVERA
RispondiEliminaNONOSTANTE I FUMI DELLE MACCHINE
L'ODORE DELL'ARIA SA DI PRIMAVERA
SA DI LIBERTA'
DI SOLITUDINE, DOLORE,PAURA..
MA SONO LIBERA
MI ERO DIMENTICATA
LA MIA SENSAZIONE DI LIBERTA'
LA MIA CONQUISTA DI LIBERTA'.
E' QUESTO IL MIO SENSO DELLA VITA? E POI ?
IL SENSO DI LIBERTA' E' COME L'ARIA DI PRIMAVERA
COME IL PROFUMO CHE SENTI IN MEZZO ALLA PUZZA DI SMOG.
IL SENSO DI LIBERTA' E' COME LA LUCE DEL GIORNO CHE E' CAMBIATA.
L'ARIA
LA LUCE
I COLORI
LE GEMME SUGLI ALBERI
LE PIANTINE TIMIDE IN GIARDINO.....
PENSIERI NERI
RispondiEliminaDOLORE?PAURA?
SI TANTA PAURA, AVVOLTA DALLA PAURA
MI LASCIO TRASCINARE DAI PENSIERI NERI DI CATASTROFE
PAURA,
MIA COMPAGNA DI VIAGGIO…
TI HO COMBATTUTA PER TUTTA LA MIA VITA.
PAURA
HO CORSO TANTO PER SCAPPARE DA TE
SONO STATA INNAMORATA.
.FELICE..
DELUSA..
DISPERATA
MA E’ LA PAURA
SEI TORNATA A PRENDERE POSTO IN CASA MIA.
NON TI VOGLIO MA NON SO COME FARE
PER MANDARTI VIA.
DA PICCOLA MI COPRIVO LA TESTA E NON AVEVO PIU’ PAURA
ORA NON POSSO PIU’ COPRIRMI LA TESTA
ORA ASPETTO CHE PASSI.
PAURA
PENSIERI NERI
PAURA SCORRE NELLE MIE VENE
GELA TUTTO.
SARA’ COSI’ LA MORTE?TUTTO GELATO?
COME LE MANI DI MIA MAMMA LI’NEL SUO LETTO DI MORTE.
SCAPPO? MA NON SO PIU’ PRENDERMI IN GIRO.
PENSIERI NERI
GELATA
AVVOLTA DA PAURA
MAMMA
CONTINUARE AVIVERE E’
PRENDERSI IN GIRO.
SOLO LE STORIE SONO CAPACI DI COLMARE GLI SQUARCI DI DOLORE.
SOLO LE STORIE CI AIUTANO A SOPRAVVIVERE.
(Dacia Maraini La Grande Festa)