Non mi è mai accaduto di piangere davanti a un paziente, e preferirei che non capitasse, anche se farlo non mi sembrerebbe una tragedia.
Tempo fa, poco dopo l’alluvione che il 4 novembre 2011 ha colpito la zona di via Fereggiano a Genova, noi del Centro Trauma (*) ci siamo messi a disposizione per dare sostegno alle vittime del disastro. Pochi giorni dopo, incontro una coppia colpita dall’esondazione: sono rimasti senza casa, dopo che il fiume li ha risparmiati soltanto perché, rompendo gli argini, è andato a uccidere da un’altra parte. Quando ci sediamo di fronte, il marito dice qualcosa con difficoltà, mentre lei mantiene gli occhi, di un azzurro intenso e scintillante, fissi nel vuoto. All’improvviso i nostri sguardi si incrociano, e io, dentro di me, praticamente a freddo, sento salire agli occhi come una gran massa d'acqua, un bisogno quasi violento di piangere. Capisco che, almeno per oggi, lei non dirà nulla; ma penso che, in fondo, ci siamo già detti molto più di quanto potessi aspettarmi da un primo colloquio.
Più tardi, ripensando all'azzurro così intenso di quegli occhi, li immagino come invasi sul punto di tracimare; piangere è vietato, perché un altro diluvio sarebbe insopportabile. Mi piace pensare che quella donna abbia usato i miei occhi come canale scolmatore.
(*) Centro Trauma per la diagnosi e la cura degli stati di stress post-traumatico nei bambini, negli adolescenti, e nelle donne. Struttura Complessa Assistenza Consultoriale, ASL 3 Genovese.
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaPerchè non si deve piangere?Se viviamo una relazione vera col paziente non possiamo non ricevere quello che ci passa come hai fatto tu.
RispondiEliminaI tuoi occhi hanno detto con una funzione di contenimento che hai capito,le parole alle volte sono solo rumore.
Non è facile piangere quando non c'è più speranza.Per potersi tenere assieme e non andare in pezzi bisogna congelare tutto.
Piangere può essere un lusso che chi ha subito un trauma non si può permettere.
Nel bel libro di Suttie Le Origini Dell' Amore e Dell'Odio a pag.63 si legge
"Ferenczi dice che è l' amore del terapeuta che cura il paziente......Ci si dovrebbe dunque chiedere che tipo di amore occorre impiegare nel nostro lavoro....Significato della tenerezza e dell'affetto tanto nella vita quotidiana quanto nelle relazioni psicoterapeutiche e altre.....
Ci importa di scoprire se questa tenerezza sia o meno un derivato della sessualità.....
Esiste un tabù della tenerezza non meno genuino e potente di quello della sessualità
pag.75 il tabù sui desideri regressivi si estende dunque a tutte le forme di affetto, tanto da rendere pressochè impossibile sia offrire che tollerare qualsiasi dimostrazione di tenerezza,"
Grazie Francesca
Hai ragione, Francesca. La tenerezza è, in psicoterapia, un tabù innominabile, molto più della sessualità. Eppure è la base dell'amore materno, una dimensione "verticale" dell'amore (una relazione necessariamente asimmetrica), che non viene mai menzionata nella distinzione che abitualmente si fa tra eros e agape (amore fraterno).
Elimina