La reazione alla separazione estiva fra psicoterapeuta e paziente è un buon indice del grado di “aggrappamento” che la relazione ha realizzato.
Fra i miei pazienti, quelli che tornano puntualmente il giorno stabilito (fatti salvi i casi di forza maggiore) sono tutti coloro che hanno consolidato il rapporto al punto che l’ambivalenza non prevale sul desiderio di aggrapparsi.
Per altri, invece, la situazione è molto diversa. Persone con esperienza di deprivazione infantile che non si arrischiano ad accordare all’analista una sufficiente fiducia in materia di tenuta e di permanenza, nell’aspettativa che tale relazione possa essere deludente quanto le esperienze originarie, possono trovarsi nel periodo di vacanza dentro un vissuto abbandonico che non può avvalersi nemmeno del criterio empirico del constatare la presenza dell’analista giorno per giorno, criterio cui ricorrono in via esclusiva coloro che preferiscono non parlare dei propri sentimenti (soprattutto di quelli transferali) con l’analista.
Un mio paziente abbastanza vicino alla psicosi, che ha normalmente con me un rapporto fortemente distaccato (non può concepire altra relazione che il parlarmi di argomenti futili, che lo riguardano solo tangenzialmente), ha avuto, quest’anno una reazione paranoide, apparentemente immotivata perché non innescata da alcun incidente. Ha semplicemente deciso, da un giorno all’altro, che io sono una persona indegna della sua amicizia, e per di più pericolosa per il proprio stato di salute, e con questo tono ha deciso di salutarmi, pare, “definitivamente”. Staremo a vedere.
Altre persone, “pagano” un tributo alla propria ambivalenza in maniera più contenuta, magari saltando l’ultima seduta prima delle vacanze o differenziando le loro ferie rispetto a quelle del terapeuta pur non avendone la necessità. (In ogni caso, poiché moltissime persone non possono scegliere il periodo di ferie, bisogna essere molto prudenti ed elastici prima di considerare l’ipotesi che un’assenza imprevista sia dettata da ragioni transferali piuttosto che di realtà). Queste ultime sono persone la cui capacità di affidarsi non è particolarmente carente; più semplicemente, esse sono in lotta contro i proprio sentimenti di dipendenza e di nostalgia, ragione per la quale tentano di non apparire (a se stessi) troppo bisognosi di cure. Normalmente, essi hanno anche una certa disistima per tali sentimenti che considerano espressione di "inferiorità": noi terapeuti, invece, dobbiamo averne il massimo rispetto, anche perché sappiamo che nel desiderio di dipendenza non c’è proprio nulla di cui ci si debba vergognare.
Ha mai scritto di qualche paziente che ha cambiato la sua vita riuscendo a realizzare se stesso e a cambiare la propria vita?
RispondiEliminaMi scuso del commento fuori tema rispetto al suo post. Sto in fase di separazione estiva e la sto patendo, come -del resto- l'anno scorso.
Ed un filo conduttore di questo mio bellissimo mese di agosto è: mi sono stufata di passare la mia vita ad aggiustarmi; non ce la faccio più, è tutto così brutto e faticoso. E mi scusi anche per lo sfogo.
riesco soltanto ora a risponderle, perché ero all'estero.
RispondiEliminaSpero che lei abbia già ripreso o riprenda prestissimo le sue sedute: vedrà che queste attese le saranno utili.
Per quanto riguarda qualcuno che, più che
"cambiare", ha dato un'inclinazione più giusta alla propria vita grazie all'analisi, mi capita sempre più spesso di parlare di me stesso, oltre che di non pochi pazienti. Tanti auguri anche a lei.