Fino a non molti anni fa, c'era una volta un cantante che si chiamava Lucio e componeva e cantava canzoni bellissime. Era un ometto piccolo, molto peloso e completamente calvo. Lucio si vergognava molto di quella sua calvizie, e andava sempre in giro con la testa fasciata e le spalle nude, per mostrare che aveva i peli neri e folti, anche sui denti.
Poi un giorno si fece coraggio, e andò davanti al suo pubblico con il capo scoperto, e quella volta cantò in maniera sublime. Poi vennero tempi bui, nei quali si fece cucire un parrucchino rossiccio sulla testa, e cominciò a cantar male, e a scrivere canzoni che nessuno riusciva a ricordare. Ci fu persino qualcuno che si chiese se quel parrucchino fosse il risultato del sortilegio di una Dalila alla rovescia. Poi, un brutto giorno Lucio morì, e la gente continuò a cantare le canzoni di quando lui non aveva i capelli, mentre le altre furono dimenticate.
Anch'io ho da tanto tempo una storia da raccontare, ma non l'ho mai raccontata tutta, perché mi sembrava una storia vergognosa.
Poi, un bel giorno decisi di raccontarla almeno a me stesso, e per questo la scrissi.
Poi andai da un maestro e gli dissi: Maestro, leggi questa storia e dimmi due cose: è una storia troppo vergognosa? No, rispose lui. È anche la mia storia, virgola più, virgola meno. E tu pensi che la possiamo raccontare così come l'ho scritta? No, rispose il Maestro. Non dobbiamo raccontarla affatto. La gente non la capirebbe.
Stamattina dovevo far lezione ai ragazzi e, dopo tanto tempo, mi sono svegliato con una voglia calma di raccontare la mia storia. L'ho raccontata tutta, per filo e per segno, con tutti i dettagli e senza nascondere nulla. E dopo ho sentito che la gente mi voleva più bene. E che quella storia non era per niente vergognosa, ma mi faceva sembrare immensamente ricco. Perché le storie dipende da come (te) le racconti.
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