Che cosa significa “self-disclosure”? Forse raccontare i “fatti propri” al paziente come assurda obbedienza a un’idea (di natura tirannica) di simmetria speculare?
Io non credo si tratti di questo, anche se, in linea teorica, non escluderei a priori l’ipotesi che si possano dare situazioni in cui la rivelazione di qualcosa di sé da parte dell’analista possa essere opportuna o addirittura necessaria, mentre invece credo sia di primaria importanza rendere il paziente pienamente consapevole della nostra partecipazione al campo.
Questo, più che uno spazio comune da percorrere o abitare, appare ai miei occhi come un tessuto costruito pazientemente con il filo che ciascuno dei due interlocutori ha da tessere.
Il campo è il luogo in cui il paziente immette i propri sogni diurni e notturni, sui quali l’analista interviene ri-sognandoli e immettendoli a sua volta nel campo a fruttificare.
A mio parere, il campo si estende ben oltre la seduta: spesso (soprattutto oggi, in tempi di analisi a bassa frequenza settimanale) i pazienti ci parlano dei loro tempi interstiziali, non osando chiederci dove abbia vagato la nostra mente e con chi, nel frattempo, e qui la tecnica basata sulla frustrazione vorrebbe che ci si astenesse dal rispondere, per poter arginare un presunto onnipresente narcisismo in procinto di dilagare, e istituire dei confini, oltreché per riconoscere ed interpretare la fantasia.
Mi chiedo se ciò sia del tutto congruo anche rispetto a persone gravemente deprivate che possano risultare impossibilitate, senza il nostro aiuto, a riconoscersi quale contenuto della mente dell’analista (perché è questo ciò di cui essi hanno bisogno).
Mi chiedo se ciò sia del tutto congruo anche rispetto a persone gravemente deprivate che possano risultare impossibilitate, senza il nostro aiuto, a riconoscersi quale contenuto della mente dell’analista (perché è questo ciò di cui essi hanno bisogno).
La rêverie di un prodotto semilavorato durante la seduta continua -si spera- anche dopo la sua fine e non soltanto da parte del paziente; non oso pensare a che cosa sarebbe effettivamente approdata la psicoanalisi se si fosse realmente aridi e smemorati come un tempo si credeva di dover sembrare.
Io continuo a elaborare il sogno del mio interlocutore anche dopo, nei momenti in cui non sono a contatto con pensieri ed emozioni che pretendono a buon diritto la loro parte. Ciò, il mio paziente può anche saperlo (e forse deve).
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