Tutti noi siamo soggetti alla generazione: apparteniamo alla nostra, ci portiamo addosso l'eredità di coloro che ci hanno preceduto, prepariamo quelle che ci seguono e quelle che verranno.
La nostra vita individuale ha poco senso se è chiusa in se stessa. Il nostro andare a maturazione e a compimento ha la necessità di generare figli, in senso proprio e/o in senso traslato. Dobbiamo in ogni caso diventare genitori: di noi stessi, dei nostri figli, di altri e di altro. Dobbiamo in ogni caso diventare educatori, consegnare il nostro lascito nelle mani di chi ci segue affinché lo faccia proprio, lo mantenga in vita per quello che vale di positivo, e lo trasformi.
Ciò dovrebbe accadere nella consapevolezza che ciò che tramandiamo non è necessariamente positivo; la trasmissione è quindi anche una grande responsabilità morale.
Anche i gruppi e le organizzazioni che si fondano su un'identità, un progetto e una missione devono includere la trasmissione dell'esperienza. Senza di essa, la creatività individuale, sociale, gruppale, politica o di impresa è vuota, e non lascia che scorie destinate a diventare materia informe. Dove non c'è trasmissione, le generazioni successive devono continuamente ricominciare da zero. In realtà, devono cominciare da un numero negativo, perché, per raggiungere lo zero che sta in alto, occorre prima ripulire il terreno dai detriti non digeribili e nemmeno trasformabili ricevuti in dote dalle generazioni precedenti.
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