Perché Wiesbaden 1932


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sabato 19 gennaio 2013

NOTA SUL TRANSFERT NEGATIVO


Nell’articolo “Due tipi di nevrosi di guerra” (1916, in: S.F., Opere, vol. II, pp. 219-233,  Cortina Editore), Sándor Ferenczi descrive le reazioni psicogene che, al tempo della Prima Guerra Mondiale, si manifestavano in molti soldati affidati alle sue cure di medico militare in seguito a esperienze traumatiche quali rimanere sepolti sotto cumuli di terra a causa di deflagrazioni, dover restare a lungo immersi in acqua gelida in inverno e in condizioni di pericolo, essere colpiti dallo scoppio di granate.
Soffermandosi sulle reazioni emotive conseguenti a raffreddamento massiccio e improvviso, Ferenczi distingue fra reazioni immediate e reazioni insorte in epoca successiva all’episodio.
Non era raro infatti, che alcuni di essi riprendessero le normali mansioni subito dopo l’episodio, per ammalarsi improvvisamente dopo un incidente banale che aveva assunto la funzione di “richiamare” vividamente alla memoria la precedente esperienza.
Di questo articolo mi colpisce,  in particolare, un passo:

“In molti di questi casi di raffreddamento, i pazienti dicono che avevano cominciato spontaneamente a migliorare quando, per curare il loro presunto reumatismo, furono sottoposti a un trattamento a base di bagni caldi, oppure mandati a passare la convalescenza in una delle nostre stazioni termali (dove le sorgenti di acqua calda sono naturali: Trencsén-Teplitz, Pöstyén); qui subirono la ricaduta” (ibid. pag. 226).

Il tema mi incuriosisce molto perché investe la problematica del transfert negativo e delle resistenze all’analisi in generale, quando si tratta un paziente che ha subito un trauma singolo o cumulativo.
L’esperienza di un ambiente familiare non accuditivo, di figure genitoriali rifiutanti o addirittura violente, favorisce lo sviluppo di una disposizione caratteriale all’autoprotezione del Sé, in sostituzione di ciò che dovrebbe offrire una famiglia normalmente accogliente e affettiva. Persone che hanno sviluppato un forte sentimento di diniego del proprio bisogno di dipendenza a causa di un grave rifiuto materno, sviluppano un atteggiamento caratterizzato da “durezza” e apparente insensibilità al dolore, di proclamati cinismo e assenza di bisogno, che ha la funzione di proteggere dall’angoscia di annichilimento che proverebbe un qualsiasi neonato normale, qualora fosse privo di ogni tutela.
Gli stessi sentimenti luttuosi riferiti alla perdita di un precedente stato appagante o di una figura di attaccamento venuta a mancare improvvisamente, sono sottoposti a diniego, mentre lo stato di sofferenza può essere scisso o somatizzato.
In tali condizioni, quando la disposizione emotiva dell’analista sia mossa da sentimenti di protezione nei confronti della parte sottoposta a scissione (cioè della parte bisognosa di cui il Sè ha perduto la consapevolezza), la reazione transferale è sempre estremamente ambivalente e in qualche caso addirittura aggressiva.

Chi alla nascita sia stato male accolto o gravemente maltrattato, ha bisogno di continuare a misconoscere i propri bisogni, per ridurre le occasioni di sperimentare il rifiuto e per evitare di piombare troppo spesso nell’angoscia. E’ per questo che i soggetti che fanno queste esperienze diventano molto gelosi della loro autosufficienza narcisistica, imparando a caro prezzo a rinunciare alla soddisfazione dei propri bisogni, nell’illusione di tacitarli. In queste condizioni, il venire a contatto con un ambiente maggiormente accogliente (quale deve essere necessariamente la stanza di analisi) può comportare reazioni di rifiuto e di svalutazione dell’analista che sarebbe erroneo e semplicistico etichettare come invidiose.
Se ripensiamo all'esempio clinico citato da Ferenczi, siamo obbligati a osservare come, dopo lo shock che aveva riportato il soggetto in una condizione di pericolo estremo dovuto al raffreddamento, il contatto con l’acqua calda dello stabilimento termale doveva essere risultato intollerabile per l’improvviso venir meno della capacità di "non notare" le differenze di temperatura maturata all'epoca del trauma, allo scopo di tener lontana l'angoscia di morire.
D'altra parte le capacità dell'organismo di modificare, in condizioni estreme, i propri meccanismi di regolazione termica sono sorprendenti: la letteratura che  narra la vita dei prigionieri dei campi di sterminio, a cominciare dalle testimonianze di Primo Levi, descrive chiaramente come coloro che sopravvissero ai lager svilupparono eccezionali capacità organiche di difesa da insulti eccezionale intensità. 
I meccanismi mentali degli Häftlinge [prigionieri] -scrive Levi- erano diversi dai nostri; curiosamente, e parallelamente, diversa era anche la loro fisiologia e patologia. In Lager, il raffreddore e l’influenza erano sconosciuti [i prigionieri vi trascorrevano tutta la giornata all’aperto, vestiti di un indumento di pesantezza pari a un pigiama leggero, calzando ai piedi, nel migliore dei casi, soltanto degli zoccoli di legno senza calze, essendo denutriti e sottoposti a lavori massacranti] ma si moriva, a volte di colpo, per mali che i medici non hanno mai avuto occasione di studiare. Guarivano (o diventavano asintomatiche) le ulcere gastriche e le malattie mentali, ma tutti soffrivano di un disagio incessante, che inquinava il sonno e che non ha nome”. (Primo Levi, I Sommersi e i Salvati, pagg. 65-66).

L’inclusione di un atteggiamento aggressivo verso un’accoglienza positiva da parte dell’analista arricchisce così di un ulteriore elemento le tipologie del transfert negativo.
Oltre alla reazione terapeutica negativa determinata dalla coazione a ripetere la relazione con il genitore originario, e all’aggressività mossa da atteggiamenti poco accoglienti da parte dell’analista nell’ambito della relazione reale, si può aggiungere quindi anche la difficoltà, per il paziente, di tornare ad essere fiducioso in qualcuno che sia disposto ad accoglierlo e ad accettare di dipendere dalla sua favorevole disposizione affettiva e dalla sua persistenza.

2 commenti:

  1. Da Emilio Vercillo ricevo il seguente commento:

    Gianni, non so se conosci i libri di van der Hart e suo gruppo, gli ultimi janettiani. Ho finito per trovare molto utili i loro modelli della dissociazione in parti nel lavoro clinico. Per esempio nelle dinamiche di cui parli è possibile pensare all'opera (in quella che chiami ambivalenza) due personaggi, quello della bambina in cui il sistema di attaccamento continua a gridare aiuto, e una parte formata per la sua sopravvivenza (quella di cui parli) legata a un atteggiamento di indifferenza e anche prepotenza nei confronti della bambina e le sue debolezze, che continua ad agire ai fini della protezione attaccando aggressivamente qualsiasi situazione sentita come possibile 'trappola' emotiva.

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    1. No, non conosco questi autori, e mi fa piacere che ci sia ancora chi si ispira alla lezione di Pierre Janet, un autore forse troppo presto dimenticato. Credo sia necessario tornare a studiare la storia della psichiatria non come interesse di nicchia, ma come vera e propria architrave che contiene le chiavi di tutte le scelte di correttezza epistemologica che possiamo e dobbiamo fare. Mi chiedo ad esempio se in casa psicoanalitica mainstream la scissione non sia stata troppo a lungo trascurata causa la primazia del concetto di rimozione, pietra angolare dell'Inconscio secondo Freud, ma oggi meno centrale che un tempo, viste le dimensioni che la parte inconscia della mente ha assunto in seguito alle ricerche neuropsicoanalitiche.
      La disposizione che tu descrivi è la stessa che si può ravvisare nell'ottica ferencziana dell'introiezione, dove il cattivo oggetto introiettato è allo stesso tempo un persecutore e un competitor delle istanze terapeutiche. Sono assolutamente certo per averlo sperimentato direttamente che se noi assumiamo un'ottica nella quale la ripetizione del trauma è assunta come via per l'elaborazione traumatolitica e la funzione dell'analista è materna, produrremo un'"esperienza emozionale correttiva" (non pedagogica, però), che prima o poi causerà una crisi di rigetto nel paziente, più o meno ampia a seconda dei casi. Ma credo anche che, almeno per me, non ci siano alternative: se mi faccio carico di una funzione genitoriale, avrò l'obbligo di essere un genitore "migliore" di quelli originali, suscitando prima o poi la loro gelosia, sia come persone reali (fenomeno particolarmente evidente in psicoterapia infantile), sia come oggetti introiettati. In questi casi, il paziente affronta drammatiche crisi di fedeltà che lo pongono in uno stato di sofferenza, mentre, allo stesso tempo, i cattivi introietti possono reagire molto insidiosamente. Sta a noi, alla nostra sensibilità, aiutarlo a scegliere di difendere le sue parti infantili ferite, in lutto, forse addirittura uccise, e comunque sempre attraversate da un precocissimo bagliore di senso di giustizia.

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