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martedì 26 giugno 2012

ALESSANDRO MANZONI, PSICOANALISTA

Spesso, nel nostro lavoro di terapeuti, incontriamo persone la cui sofferenza psichica è conseguenza del fatto di non essere state desiderate dai genitori, oppure private di essi troppo precocemente e cresciute in ambienti affettivamente freddi o addirittura violenti.
In tali casi, sprovvisto com’è della capacità di comprendere che il proprio malessere è originato da chi lo accudisce, il bambino è portato ad assumersi la “colpa” del cattivo accoglimento, che finisce per attribuire a misteriose qualità negative, quali cattiveria, sgradevolezza, eccessiva avidità, a volte persino puzza, o addirittura a identificare nelle proprie reazioni d’insofferenza a un ambiente ostile la causa stessa di tale ostilità.

Per questo, c'è chi, nel descrivere i nefasti di un’educazione priva di tatto e di sensibilità, porta a esempio il caso di Gertrude, la manzoniana “monaca di Monza”, condannata al chiostro da parte di una famiglia indifferente al suo destino, perché tesa unicamente alla salvaguardia delle sostanze del casato. Il commento che ho appena letto in proposito riporta il celebre passaggio “la sventurata rispose” aggiungendo: “non solo ad Egidio, ma anche ai suoi genitori”.

Concordo pienamente con questa osservazione, ma penso che essa non sia ancora sufficiente.

Se immagino Manzoni come colui che ha il compito di restituire senso alla storia di Gertrude, allora lo vedo come una specie di psicoanalista, in grado di rompere, sia pure a posteriori, il silenzio calato su una vicenda di potere, che non ha esitato a sacrificare la felicità di una figlia, pur di mantenere integro un patrimonio.
Tuttavia, se Manzoni fosse stato uno psicoanalista, in lui saremmo costretti a notare un difetto di empatia dovuto alla sua personale necessità di difendere a priori l’operato del terzo attore della vicenda, cioè la Chiesa, che ha la responsabilità di aver ipocritamente ignorato ciò che era a tutti noto, e cioè il carattere forzato di quella vocazione.
Ma Manzoni non si sofferma su questo punto, caricando sulle spalle della povera Gertrude il peso del non aver fatto “di necessità virtù, piegando l'animo ad abbracciar con propensione ciò che era stato imposto con prepotenza”,  e con esso “tutta la santità, tutta la saviezza, e tutte le gioie della vocazione”. 
Il peso di ingoiare, cioè, la rabbia e l’umiliazione di esser stata barattata per denaro tra la propria famiglia e un’altra, entrambe avendo beneficiato del patto: un po’ poco, dottor Manzoni, come viatico per affrontare il riscatto che passa attraverso la riconquista del senso e del valore. A volte i pazienti ci chiedono conto del fatto che sacrifichiamo la loro realtà emotiva, per adattarla alle nostre convinzioni e alle nostre teorie, che in quel caso funzionano come ideologie.
A Manzoni, vissuto tanti anni prima dell'Olocausto, si può ben perdonare la favola della Fede “ai trionfi avvezza”, dato che Pinochet non solo non ha incontrato nessun Cardinale, ma nemmeno la peste, né, più laicamente, piazzale Loreto, morendo nel proprio letto con tanto di funerali religiosi. Ma quando egli mostra tanta pietà per la povera Gertrude, poi non dice neanche una parola contro la Chiesa che aveva commerciato (o Simon Mago, o miseri seguaci che le cose di Dio che di bontate deon esser spose e voi, rapaci, per oro e per argento avolterate …) la vocazione della ragazzina con il lascito della famiglia. Niente; la sciagurata avrebbe dovuto rispondere solo al Signore, ingoiando l'aggressività, l'umiliazione, la solitudine. Se poi, non riuscendo a farlo, si era data a un delinquente (e chissà quali delizie o quale inferno, con un tipo di quella risma, intermediario fra Don Rodrigo e l'Innominato: non avranno mica passato la vita a letto!), aveva ucciso una conversa, e tradito la povera Lucia, allora è una putain.
Non è poi troppo difficile prendersela con i Don Rodrigo e i Don Abbondio, che sono personaggi, tutto sommato, da poco; più difficile è prendersela con il Papa.
Qui si giocano le possibilità e i limiti della nostra capacità di identificarci con il dolore di coloro dei quali, ogni giorno, tentiamo di riscrivere la biografia.

1 commento:

  1. la bambina del suo papà28 giugno 2012 alle ore 01:50

    Polemico ma Profondo. La "bimba del suo papà" ringrazia per la riflessione, molto. E la sventurata rispose.. ho sempre riflettuto sulla vera natura della sua sventura, ma non da brava psicanalista. oggi ho un punto di vista in più

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