Perché Wiesbaden 1932


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giovedì 6 dicembre 2012

OTTIMISMO


Io sono un ottimista. Dopo tanti anni affronto il mio lavoro con avidità ed entusiasmo infantili. Credo di avere una buona dose di energia, che cerco di trasmettere. Ho attraversato luoghi desolati e pieni di dolore, e ogni volta che ho potuto ho detto: vedi questo è stato, ma ora non è più. Ora lo guardiamo da una postazione sicura. Lo possiamo guardare perché non hai più bisogno di loro. Loro ti facevano del male e tu non potevi rappresentarteli così come li percepivi perché non lo avresti sopportato. Così, seppellivi il dolore e il disgusto, fingendo che non ci fossero. Così sei cresciuta nella nebbia di chi non sente il dolore. Ma una parte di te, esiliata, avrebbe voluto piangere. Ora può.
Dire questo è possibile se si percepisce la differenza fra ieri e oggi, fra il buio e la luce. Ma con lei non ci riesco.
Quando entra lei, sembra che entri una forma leggera e goffa, inconsistente e disarmonica. Urta le sedie ma non tocca terra.
Una volta mi ha detto: “in certi posti non sono bene accolta”. La frase mi è caduta addosso come uno schiaffo, perché in certi momenti io desidero che lei non ci sia. Eppure so che se non la sorreggo cade, e se la lascio cadere io, cade per sempre.
Oggi la seduta è stata particolarmente pesante: cinquanta minuti di orrore e di rabbia sorda, per fuggire dalla quale mi rintanerei volentieri nella fantasia di uccidere suo padre e i suoi amici. Ma la cosa insopportabile non è quello che mi racconta, ma il fatto che non riesco a vedere niente. E’ un tunnel infinito, senza uscita, e probabilmente, il mio compito, per adesso, è quello di rimanere qui, con lo stomaco stretto e le palpebre pesanti, senza poter dire altro che dei mh.
Ecco, sono riuscito a formulare due parole meno pesanti: “per adesso”. Peccato che lei non sia qui, a sentirne il rumore.

2 commenti:

  1. Tutto profondamente esatto. Ma per rompere l'incantesimo mi sembra ci voglia anche un (dall'altra parte): "E' tutto vivo come ieri e sarà sempre vivo come ieri finchè non trovo qualcuno che lo rivive con me col medesimo dolore e lo riconosce come dolore invivibile, nella sua realtà oggettiva di insostenibilità, che gli restituisca il senso di sbagliato, di colpevole[e magari, chissà, anche non assolvibile]". Tutto questo in forma di esperienza, onesta e partecipativa, non come quelli che raccontano le formulette magiche del dolore preimpostate.
    Poi se si raggiunge il grado di empatia necessari bene o altrimenti niente.
    So che c'è il bisogno di fare della psicoanalisi una scienza e quindi non un valore umano che in quanto tale è opzionale, ma si tratta di far funzionare o addestrare un'opzione biologica cioè sperimentare l'esperienza dell'altro, come quando vediamo uno che si brucia, ci immedesimiamo per rafforzare il nostro senso di realtà.
    Quindi io vedo necessaria una partecipazione non da amico ma quantomeno da testimone.
    Tutto quello che si necessita ai crimini dentro le mura secondo me è il testimone, ma non di quello che gira i tacchi.
    E' una scesa in campo, ma un mestiere asettico come del giudie lo è allo stesso modo, nell'interpretazione della legge su relativo ideale di giustizia. Quindi sarebbe il caso lo diventasse anche e a maggior ragione lo psicoanalista che nelle sue pretese di asetticità e chimico del laboratorio mentale è un po' fuori schema.

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  2. Sono d'accordo con lei su tutto, soprattutto sulla faccenda della testimonianza. Soltanto su di un particolare non sono d'accordo: io non sento affatto il bisogno di fare della psicoanalisi (che amo moltissimo) una Scienza. Non è nelle mie priorità.

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