“Sono
tanti anni che ci frequentiamo, mi dice M. con tono di rimprovero, e
a questo punto io so di lei più di quanto lei sappia di me”.
Chissà,
mi chiedo, che cosa M. sa di me, e che cosa io realmente so di lei
(anche se quello che di lei mi sembra di sapere non è poco).
Di
certo, la self-disclosure ci ha cambiati molto, anche se, in tempi non
sospetti, l'analista mi diceva che era inutile che io cercassi di
indagare sulla sua vita, perché tanto avrei conosciuto di lei molte
più cose semplicemente restandole accanto.
Conoscersi,
non conoscersi: inconsci che dialogano fra loro, noncuranti
dell'arrivo, sempre troppo tardivo, dei radar della coscienza.
M.,
in questi anni, deve aver imparato molto da miei scritti
autobiografici, un modo che ho di continuare la mia analisi. E poiché
non sembra per niente turbata di ciò “che ha appreso di me”, c'è
da pensare che lo sia del mio modo di analizzare me stesso, in attesa
che lei faccia altrettanto. La prossima volta che la vedrò, dovrò
ricordarmi di dirle che nessuna psicoanalisi è possibile senza che
entrambi facciamo una seria e profonda autoanalisi. E io devo
certamente aiutarla in questo; ma senza la sua attiva
collaborazione, nulla io posso.
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