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domenica 17 giugno 2012

IL PONTICELLO DI NIETZSCHE

Sto leggendo “Le lacrime di Nietzsche” di Irvin D. Yalom (Neri Pozza editore, 2006, 12 euro e 50),  una fiction storica sulla nascita della psicoanalisi, della quale diffido, come di ogni ricostruzione romanzata che ometta di citare rigorosamente le proprie fonti rischiando così di contribuire al perpetuarsi delle false credenze, delle dicerie  e delle omissioni che hanno per così lungo tempo ostacolato la conoscenza della storia delle idee psicoanalitiche.
Sia come sia, il libro mi affascina e mi prende, e deve aver colpito anche l’attenzione di Matilde, che, avendolo una volta notato sul mio tavolo, lo cerca, la seduta successiva, con una curiosità che non ha più bisogno di nascondersi.
Il libro inizia raccontando le vicende che intrecciano le vite di Joseph Breuer, mentore di  un ancor giovane Freud e “levatrice” della nascente psicoanalisi, Freud stesso, l’affascinante nobildonna Lou von Salomé e un sofferente Friederich Nietzsche, in preda alle “doglie cerebrali” provocate dal dolore sperimentato nel "partorire" le proprie intuizioni vertiginose.
Arrivato al punto in cui Breuer e Freud commentano un passo della “Gaia Scienza”, mi imbatto in un apologo del filosofo tedesco, intitolato “Ponticello”: «(…) Un tempo, nella nostra vita, siamo stati così vicini che niente poteva più costituire un ostacolo a un sodalizio di amicizia e fratellanza, come se tra noi ci fosse soltanto un breve ponticello. Proprio mentre stavi per imboccarlo, io ti chiesi: “Vuoi venire da me, al di là del ponticello?”. Ma tu smettesti di volerlo, e la seconda volta che te lo chiesi tacesti. Da allora tra noi si sono frapposte montagne e fiumi impetuosi e tutto ciò che può separare e rendere estraneo; se anche volessimo avvicinarci, non lo potremmo più. Se però ripensi a quel ponticello, non hai più parole – soltanto singhiozzi e meraviglia».
Queste parole richiamano alla mia memoria lo studio nel quale lavoravo una quindicina d’anni fa, adagiato sulla riva di un torrente, per accedere al quale bisognava attraversare un ponticello simile a quello dell’apologo.
Accadde che qualcuno, da me invitato ad attraversarlo abbia per sempre (o per “quasi sempre”) deciso di reprimere quel desiderio, forse temendo di percorrere a ritroso un cammino di separazione che era costato tanto dolore e lutto inconfessato.
Nel suo ostinato rifiuto dell’offerta terapeutica di Breuer, Nietzsche paventa l’idea che il risultato della cura sia la sottomissione e una perdita di potenza vitale; un tipo di angoscia che alcuni miei pazienti conoscono bene.

2 commenti:

  1. SPUNTI DAI PONTI

    E' la prima volta che succede. Non parlo del fatto che stiamo leggendo lo stesso libro contemporaneamente ma dell' emozione che provo incontrando durante la lettura questo post...
    Sottolineiamo righe , ognuno per conto proprio, ma scegliendo come in questo caso le stesse, quelle che ci sembrano riferibili a certe "verità storiche" pur lontane dai tempi del romanzo.
    Curiosamente noto la diversa traduzione dell'apologo del "ponticello" che trovo nella mia edizione :
    "... Ma ora, se pensi a quel piccolo ponticello, ti mancano le parole, singhiozzi e ti chiedi perchè"
    Più fedele e completa di quella riportata nel blog, per quanto riguarda la mia percezione della storia.
    Difficile per chi ha vissuto lunghe, tormentate e in qualche modo originali esperienze di analisi non trovare affascinante come si annodano e snodano le relazioni descritte in questo romanzo.
    Più volte, procedendo nelle pagine, mi sono domandato in quale personaggio mi piaceva immedesimarmi, riconoscermi
    anche solo un momento, in un gioco di complicità di ruoli che mi è tanto familiare.
    A Nietzsche, a Breuer, mai a Bertha. A Salomè. A Freud. E si, anche a Mathilde.
    Ma i punti di riflessione che il testo di Yalom mi regala sono tantissimi e non smettono di stupirmi .
    Anche l'anonimato che scelgo (?) di usare per muovermi liberamente (?) in questo contesto può trovare un'identità.
    Il mio analista ha avuto spesso libri sulla sua scrivania. Alcuni, non tutti, ho avuto la curiosità di leggerli.
    Una volta è arrivato a suggerirmene uno, che in quel momento, gli pareva importante conoscessi.
    Forse avrebbe dovuto farlo più spesso.
    Alla propria lettura ( e riscrittura) si può arrivare in tanti modi. Tutti leciti, mai casuali o improponibili nella mia esperienza, se lo scopo è ricostruire ponti per ricongiungersi a se stessi.

    "Ho perso il filo, Sig. Torniamo indietro di 5 minuti. Tu mi hai chiesto che cosa vorrei che accadesse. E io sto dicendo che spero
    che Herr Muller voglia parlare della sua disperazione.Spero che mi usi come un padre confessore. Forse questo basterà a farlo guarire, riportandolo magari al gregge umano..."
    Però mi hai detto che è stato tradito da altri. Quindi si era senza dubbio fidato di loro, aprendosi. Altrimenti non potrebbe esserci
    tradimento"
    "Si, hai ragione. Il tradimento per lui è un grosso problema. Penso addirittura che il principio di base, il principio fondamentale del mio procedimento dovrebbe essere proprio -primum non nuocere-:
    non fargli del male, o comunque niente che lui possa interpretare come un tradimento"
    Ieri, arrivata a questo punto, ho fatto un'orecchia alla pagina .
    Non è bello, lo so. Ma certi libri parlano e sembrano anche ascoltare.

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    Risposte
    1. Faccio sempre orecchie alle pagine, perché i segnalibri li perdo. E, per quanto riguarda i saggi, le costello di annotazioni a margine, rigorosamente a matita, a volte persino infantilmente passionali.
      La diversa traduzione dell'apologo non deve far sospettare oscuri procedimenti; riguarda piuttosto una forma di pigrizia associata ad una forma di ritegno. La pigrizia consisteva nell'evitarmi la copiatura, ricorrendo a un copia-e-incolla da Google. Poi ho modificato, qua e là anche quella versione, per una sorta di apertura a possibili varianti, in relazione alle persone reali cui pensavo in quel momento.
      Il problema di Nietzsche è di certo il tradimento (che è il nome che Egli dà alla dipendenza, a ciò che altri chiamano "schiavitù", e al ritorno all'utero), che non può essere trattato con gli strumenti psicoanalitici ordinari (nemmeno con quelli di oggi, che Yalom, a differenza di Breuer, conosce), ma che passa attraverso la domanda capitale sulla ragione del desiderio dell'analista, della quale, su questo Blog ho già scritto e continuerò a scrivere.
      Perché ci dev'essere una ragione, che non è erotica, e neppure economica, e che ha piuttosto a che fare con l'idea della morte, come del resto Yalom, lucidamente, sottolinea. E' per questo che io a volte, silenziosamente, imploro i miei pazienti di lasciarsi curare (e di curarmi).

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