Perché Wiesbaden 1932


PERCHE' "WIESBADEN 1932"? Leggete qui



Detto ciò, benvenuti nel mio Blog, angolo per riflessioni da condividere con colleghi e amici selezionati.











mercoledì 26 settembre 2012

OBJET TROUVÉ

Per Jamila, ragazza scampata a un padre sadico, a una religione che non rispetta le donne, agli scafisti, alla furia del mare, credo di essere un «objet trouvé» o un accidente: qualcosa (una cosa?)  che si incontra per caso, camminando in uno spazio sterminato perché privo di confini, di strade e di senso, e nella disperata speranza che il lancio dei dadi che costituisce per lei l’unica opzione esistenziale abbia come risultato un doppio sei, al di fuori del quale sembra esserci il nulla, un vuoto che potrebbe essere riempito soltanto da nuove persecuzioni.
Questa riflessione mi sale alla mente subito dopo la chiusura di una seduta durante la quale il contatto ha fluttuato a lungo nell’aria: Jamila è arrivata in ritardo, e quando sono andato a chiamarla, telefonava. Ha continuato per un po’ a parlare al telefono mentre mi seguiva lungo il corridoio, e ha smesso all’improvviso rivolgendomi un sorriso carico di malinconia, nel momento in cui ha attraversato la porta. Subito dopo, mentre ci stavamo sedendo, ha iniziato a cantare. Canta spesso Jamila, anzi “sempre” come proclama con finto orgoglio; e il suo canto ha il rumore dell’ansia, della paura a stento mantenuta sotto traccia.
Parliamo dei suoi contatti. Che non sa mantenere, che teme di perdere, che  a volte sembrano sfuggirle sotto i colpi della sua stessa spietatezza. Eppure Jamila è buona: il suo senso di giustizia è cresciuto nella desolazione desertica della violenza e dell’assenza di affetti. E questo la costringe a sentirsi a volte troppo permeabile e a volte inutilmente spietata.
Mentre Jamila parla, ho spesso la sensazione di perderla. E questa sensazione, oggi, si è presentata in forma di sonno, violento e apparentemente immotivato.
Il sonno mi mette a disagio: sono forse disinteressato a lei, troppo tiepido verso i suoi affetti disperati, anch’io da mettere nel novero di quanti le hanno girato le spalle?
"Lo sa che l’ho appena persa?" Le chiedo. "Mi capita sempre, risponde, io rifiuto le persone". Anche quelle di cui sente di avere un disperato bisogno? Mi chiedo. Ma non aggiungo altro: credo che nessuno dei due, ameno per il momento, sarebbe in grado di rispondere con certezza.

La seduta si avvia alla fine. Ci rivedremo fra sette giorni, sempre alla stessa ora. "Alle tre e mezza?" Mi chiede Jamila. "No, alle tre, come sempre". Oggi è arrivata con un po’ di ritardo credendo di essere in anticipo. Spesso Jamila mi telefona il giorno prima: è domani la seduta? E’ alle tre e un quarto? Sembra che nella sua agenda, un appuntamento che aspira a radicarsi, faccia ancora troppa paura.

4 commenti:

  1. Leggo sempre con grande attenzione ogni parola che riempie questi racconti . Oggi quella che maggiormente ricorre e si rincorre nei miei occhi ( dove già probabilmente m'inseguiva) è nelle varie declinazioni del verbo "perdere".
    I contatti che Sibilla teme di perdere... tu, Gianni caro, che hai la sensazione di perderla e ...la perdi. E glielo dici senza timore. E ancora: la paura che ha Sibilla di perdere te insieme agli orari dei vostri incontri. Non a tutti riesce facile dichiarare apertamente l'angoscia che provoca l'idea della perdita dell'altro. Della perdita ( sconfitta) di se nell'altro. Càpita certo di più a chi ha già perso tanto. Ma da te viene per ritrovarlo. Il vuoto, per quello che non si riesce a tenere vicino, è un dolore che sa essere inesprimibile ma che può e deve poter trovare una risposta. Dove? Nella mente e nel cuore. Diciamo pure nell'anima, per citare un precedente blog, e lasciamo che del cuore si occupino i più esperti cardiologi. Ma questa è solo una mia risposta, che lascia il tempo ( perso) che trova. Al momento. Poco ameno ( refuso?), per il momento.

    RispondiElimina
  2. Cara Maddalena, i tuoi commenti mi sono preziosi, anche perché riescono sempre a sorprendermi. Quello che dici è pieno di grande sensibilità e calore. Mi piacerebbe anche che fosse un po' chiaroveggente, perché qualcosa che tu rappresenti è ancora lontano dall'essere attuale: è quando dici che Sibilla teme di perdermi. Io penso che potremo arrivare a questo dopo un lungo cammino, e sarà una conquista. So infatti che Sibilla, al contrario di altri miei pazienti, sente di avermi perduto -irrimediabilmente- molto prima di conoscermi. Purtroppo il percorso da fare assieme non è un'arrampicata in montagna: è piuttosto una risalita dalle viscere della terra fino al al livello del mare, e non in senso "banalmente" psicoanalitico (Freud mi perdoni), ma piuttosto "algebrico", se così posso dire. Alcune persone devono nascere, altre hanno soltanto bisogno di accettare di essere già nate, e di vivere la vita serena che le aspetta da troppo tempo.

    RispondiElimina
  3. Un classico esempio di struttura dissociativa?quel continuo bisogno di rimandare l'appuntamento con quella parte di sé piu'bisognosa di cure ed attenzioni che non deve,no,non puo'assolutamente venire fuori, non puo' non puo' non puo'...perchè "la Sibilla che io conosco non è questa, non è possibile che abbia bisogno dell'altro e di aiuto...non è possibile che sia io...NON SONO io...No, non posso reggerlo..." e certo, perchè prendere atto di questo sarebbe troppo vergognoso, devastante, rischioso..."per me, per gli altri, per tutti (...) E poi dopotutto cosa significa entrare in contatto con questa parte di me...come si fa...io non lo so piu'fare ormai...Per troppo tempo vi ho dovuto rinunciare...ma che altra scelta avevo?Potevo mai rinunciare ai miei cari per pensare a me? Evidentemente io non meritavo neanche tutte queste attenzioni...ma che razza di roba era?brutta,schifosa...solo da buttare via"
    Ecco che a questo punto non riesco ad interpretare quelle telefonate di sempre se non come pura amnesia dissociativa...un continuo fuggire da sé inevitabile e scontato.E un non saper stare nella relazione con l'altro, con tutto cio'che questo significa, perchè probabilmente chi avrebbe dovuto insegnarglielo non lo ha saputo fare...
    Niente di piu'utile ed opportuno, quindi,della Sua onestà emotiva,no?
    Continui a parlarci di Sibilla e del suo terapeuta, la prego...!
    Stefania Veneto

    RispondiElimina
  4. Se Lei scorre il Blog a ritroso troverà diversi post che parlano di Sibilla. Qui la dissociazione è a livelli molto avanzati: non è soltanto questione di "parti" che non comunicano fra loro. Vi è uno stato di dispersione e frantumazione,tenuto assieme da un assemblaggio piuttosto precario.
    L'ingresso di Sibilla in seduta si accompagna sempre a un senso di smarrimento che mi è immediatamente trasmesso, e che mi ha fatto venire in mente più volte l'idea che è come se ogni volta ci incontrassimo per caso.
    Ho spesso la percezione che Sibilla, pur non potendo essere definita psicotica, mi percepisca "poco": un po' come se io fossi un'ombra o una specie di nebbia.
    Ignoro totalmente se lei faccia fantasie su di me, anche perché se queste dovessero irrompere, rivelerebbero probabilmente contenuti di persecuzione incestuosa.
    Ho scelto il titolo "objet trouvé", prendendolo a prestito dal linguaggio dell'arte: per dadaisti e surrealisti esso indica un "oggetto recuperato da un artista ed esposto senza o con minime alterazioni come opera d'arte (o come elemento di un'opera d'arte). Può essere un oggetto naturale, come un sasso, una conchiglia o un ramo dalla forma bizzarra, oppure un oggetto costruito dall'uomo, per esempio di ceramica o di metallo".
    Immagino che gli artisti (da Duchamp in poi) che adottarono questa tecnica non sapessero quale significato attribuire all'oggetto, essendo mossi soltanto da considerazioni estetiche, le quali attingono certamente a quelle che oggi vengono chiamate "conoscenze implicite".
    Così come un pezzo di legno lavorato dal mare può evocarci sentimenti impossibili da descrivere e rappresentare narrativamente, così io credo che Sibilla abbia una rappresentazione primordiale e nebbiosa della funzione esercitata dagli incontri con me, che rimango un oggetto misterioso dotato di un'attrattiva altrettanto ineffabile, sulla quale ogni indagine introspettiva incute terrore.

    RispondiElimina