Perché Wiesbaden 1932


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mercoledì 6 marzo 2013

OLTRE L'ANALISI PERSONALE (DELL'ANALISTA E NON SOLO)

Scrive Winnicott che  la ricerca psicoanalitica – e dunque, aggiungo io, il lavoro psicoanalitico – è sempre, in una certa misura un tentativo da parte dell’analista di spingere il lavoro della propria analisi oltre il punto cui il proprio analista ha potuto condurlo”.
Questa affermazione ha valore dirompente perché pronunciata in un saggio (L'Odio nel Controtransfert, 1949), nel quale si afferma allo stesso tempo che la scoperta di "aree cieche" nell'analista deve sempre spingere quest'ultimo verso una ripresa della propria analisi personale, e che questo tipo di "patologia professionale" investirebbe, a detta di Winnicott, gli psicoterapeuti più che gli psicoanalisti.
Ora, ammesso che quest'ultima definizione, quando riferita all'ambito psicoanalitico, non possa essere riformulata più comprensibilmente in una distinzione fra psicoanalisti più e meno preparati, non si potrà non notare che in primo luogo,  essa considera l'analista come qualcuno che "non ha (o non dovrebbe avere) più" nuclei conflittuali irrisolti (affermazione molto impegnativa rispetto a ciò che ci aspettiamo dalla psicoanalisi e dalla capacità diagnostica di chi ha il compito di valutare i futuri psicoanalisti); e che essa implica il fatto che qualora lo psicoanalista debba trovarsi in tale sfavorevole condizione, debba senz'altro tornare a sottoporsi a un'analisi presso un collega.
Ora, a parte le difficoltà di una simile soluzione, che potrebbe implicare anche un'assenza di motivazioni a una relazione di dipendenza da parte di uno psicoanalista in là negli anni, c'è da osservare la totale sfiducia nel pensiero psicoanalitico prevalente all'epoca di Winnicott nelle possibilità che uno psicoanalista formato possa, dopo un congruo periodo di tirocinio, andare avanti da solo con la propria autoanalisi, così come ogni individuo adulto non deve necessariamente tornare fra le braccia della madre, ogni qualvolta i propri conflitti lo facciano soffrire.
Un po' contraddittoriamente ma con grande lucidità, Winnicott è raggiunto, in un periodo di relativa oscurità, dall'intuizione che ciò sia possibile.
La questione mi intriga molto, perché da tempo sono spinto dal desiderio di scoprire che cosa, in termini emotivi, mi diano i miei pazienti: ad esempio di come, attraverso il continuo lavoro di rêverie, io espanda continuamente la mia capacità di fantasticare; e come sia possibile comunicare loro il senso della mia  gratitudine. Altrimenti potrebbe capitare che qualcuno di loro si sentisse schiacciato da un debito troppo unilaterale. Non è mai bene essere soltanto i beneficiari di qualcosa. Occorre anche saper riconoscere a se stessi la capacità di far star bene gli altri.

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